lunedì 28 gennaio 2013

Effetto lucifero

"Paradossalmente è stato Dio a creare l'inferno come luogo dove tenere il male"
(P. Zimbardo)

Come può una persona essenzialmente buona, considerata normale trasformarsi in un attore del male?
E' la questione che Philip Zimbardo si pone. Lo psicologo sociale ha indagato e analizzato sia in studi passati che in eventi tragici moderni quello che denomina effetto lucifero. Questo fenomeno non si concentra sulla malvagità delle persone ma sulla malvagità che può introdursi in esse in determinate circostanze. Se si pensa infatti agli eventi accaduti nella prigione irachena si può rimanere sconvolti al pensiero che i soldati assegnati inizialmente al mantenimento dell'ordine in quella prigione, possano aver cambiato la propria personalità da stabile e equilibrata ad una violenta e sadica rivelatasi nelle torture crudeli e disumane da loro perpetuate a scapito dei prigionieri. Qual è dunque l'elemento scatenante che genera la trasformazione di una persona "normale" ad una malvagia?
 Secondo Zimbardo la chiave della questione deve essere ricondotta al potere: il male è l'esercizio del potere. Il potere di, intenzionalmente, far male alle persone psicologicamente, di colpire fisicamente, di distruggere mortalmente persone o idee o di commettere crimini contro l'umanità. Certamente il potere attrae, ma tutte le persone cedono ad esso? Cosa induce un individuo alla decisione di far del male? Si pensa spesso e banalmente che sia l'individuo ad essere deviato di per sé, che abbia una personalità incline alla delinquenza e alla crudeltà e che la maggioranza delle persone essendo "sana" sia immune da una tale trasformazione. Questa convinzione è troppo semplicistica e Zimbardo ha dedicato i suoi studi a un'analisi più specifica di questo fenomeno.
Innanzitutto, sostiene che si debba visionare la questione secondo tre diverse modalità: quella disposizionale, sottolineando la persona nella sua individualità ad essere malvagia (la cosidetta mela marcia), quella situazionale ovvero l'ambientazione di un atto deplorevole ed infine quella sistematica che influenza le precedenti.

Come già detto è il potere ad essere un elemento determinante per l'effetto lucifero. Durante la consulenza tecnica di Zimbardo nel caso di Abu Ghraib, lo psicologo sociale osservò che il potere si trova nel sistema, il sistema crea la situazione che corrompe l'individuo ed è il sistema a creare il background legale, politico, economico e culturale, la bad barrel,  il contenitore "malvagio".
Se vuoi cambiare una persona devi cambiare la situazione, se vuoi cambiare la situazione devi sapere dov'è il potere nel sistema.
Quindi l'effetto lucifero implica la comprensione delle trasformazioni del carattere delle persone attraverso questi tre fattori in un gioco dinamico e commutativo: le persone cosa si portano dietro nelle situazioni? Le situazioni cosa fanno uscire dalle persone? E qual è il sistema che crea e mantiene questo tipo di situazione?

Esistono sette processi sociali emersi da numerosi studi sociali (come lo "stanford prison experiment" o il "Milgram experiment" per citare quelli con più influenza) che rendono più scivolosa la discesa verso il male:
  1. Fare il piccolo passo senza pensarci. Per quanto minima e all'apparenza poco rilevante, ogni decisione che ricada nella crudeltà ci spingerà più facilmente a compiere il successivo perseguendo un circolo vizioso.
  2.  La deumanizzazione dell'altro.
  3. L'anonimizzazione di sé stessi. Lo studio di un antropologo, John Watson si occupò del cambiamento d'aspetto di 23 culture in momenti bellici: 15 di queste mutavano aspetto e di queste ben 13 culture mutilavano, uccidevano e torturavano. Mentre delle culture che non cambiavano aspetto solo una su otto uccideva, mutilava e torturava. Si evince dunque, che cambiando il proprio aspetto e anonimizzandosi, le persone sono più portate a commettere crimini violenti
  4. Allentamento della responsabilità individuale.
  5. Obbedienza cieca all'autorità.
  6. conformarsi acriticamente nelle norme del gruppo.
  7. Tolleranza passiva del male attraverso inazione o indifferenza.
Tutti questi processi avvengono necessariamente in un sistema macroscopico che ingloba e influenza diversi aspetti ambientali.
Concludo con una citazione di Zimbardo:
 "C'è bisogno di un cambiamento fondamentale di queste aree. Il cambiamento è allontanarsi dal modello medico che si concentra sull'individuo, bisogna dirigersi verso un modello pubblico che riconosca vettori di malattie sistemiche e situazionali.
Il bullismo è una malattia. Il pregiudizio è una malattia. La violenza è una malattia.
E' dall'inquisizione in poi che abbiamo affrontato problemi a livello individuale.
E sapete cosa? Non funziona.
Alexander Solzenicyn dice che la linea tra bene e male taglia a metà il cuore di ogni essere umano. Vuol dire che la linea non è là fuori.
 E' una decisione che ognuno deve prendere."







domenica 27 gennaio 2013

Disimpegno morale

Nell'ambito della teoria social-cognitiva Bandura introduce la concezione di meccanismi di disimpegno morale la cui funzione è di disimpegnare temporaneamente la condotta dei principi morali. Questi meccanismi vengono attuati in concomitanza di una situazione in cui ci siano notevoli vantaggi per una persona ma le azioni stesse che porterebbero al raggiungimento di tali obiettivi proficui vengono ritenute degne di biasimo per il soggetto. Difatti la condotta trasgressiva, secondo quanto teorizzato da Bandura, è regolata da due principali tipi di sanzioni: le sanzioni sociali per le quali chi opera un'azione "socialmente deplorevole" viene esposto a una punizione o a una censura dalla società e le sanzioni internalizzate che operano in modo anticipatorio rispetto al comportamento. Queste ultime rispondo a principi morali consolidati nella persona e la espongono a sentimenti di autocondanna e di riprovazione per il proprio comportamento.
Dunque come attuare un comportamento di "cattiva" condotta per ottenere un vantaggio personale senza pertanto intaccare il proprio senso di autostima e autorispetto? I già citati meccanismi di disimpegno morale risolvono il dilemma inibendo la sanzione interna: non solo non si proveranno sentimenti di riprovazione ma l'autostima rimarrà integra e verranno perseguiti una serie di vantaggi personali.
Questi meccanismi sono utilizzati con più frequenza in età adulta, grazie a una maggiore sofisticazione dei processi cognitivi che consente di trovare più facilmente una giustificazione al proprio operato.
I meccanismi distinti da Bandura sono otto e agiscono su tre diverse fasi del processo di regolazione dei comportamenti: sulla valutazione della condotta in sé, sulla valutazione delle conseguenze dell'azione e sul giudizio nei confronti delle vittime.
Ecco una breve descrizione degli 8 meccanismi di disimpegno morale:
  1. Giustificazione morale: i comportamenti considerati riprovevoli vengono considerati da un punto di vista diverso e riconducibile a ideali superiori per cui vengono accettati e giustificati in nome di essi. La religione, la patria, la famiglia e l'onore vengono richiamati spesso come scusanti per una azione malevola.
  2. Etichettamento eufemistico: un'attenuazione della violenza associata alle parole con cui viene nominata, ne sono un esempio espressioni come "bombe intelligenti", "pulizia etnica".
  3. Confronto vantaggioso: il confronto di un comportamento con altri a nostro parere analoghi, induce alla modifica del nostro giudizio, attenuando la valenza negativa dei comportamenti e addirittura trasformali in azioni morali. "Tanto è più oltraggioso l'operato confrontato, tanto è più probabile che la nostra condotta deplorabile appaia irrilevante o addirittura benevola" sottolinea Bandura.
    Non dobbiamo andar troppo lontano nell'espletare un esempio di tale meccanismo: in politica, i responsabili del governo giustificano spesso alcune decisioni poco corrette adottate nei confronti dei cittadini imputandone le responsabilità all'operato del precedente governo, che avrebbe adottato provvedimenti peggiori.
  4. Dislocamento delle responsabilità: quando non viene riconosciuto il ruolo attivo e consapevole del soggetto nell'azione anche la sua responsabilità, e conseguentemente il biasimo, si attenuano. La responsabilità dell'azione perseguita viene quindi attribuita ad autorità superiori giustificandosi in un "ordine" da parte di queste ultime.
  5. Diffusione della responsabilità: dal principio" se tutti sono responsabili allora nessuno è responsabile" si evince come il controllo morale si indebolisce quando la capacità di agire e le conseguenze negative sulla vittima vengono mascherate dalla condivisione con altri dell'azione.
    Il governo nazista fece leva su questo tipo di meccanismo coinvolgendo il popolo tedesco per giustificare sé agli occhi esterni sia per creare una giustificazione per i cittadini stessi, che in tal modo contribuirono nell'operare nella macchina di distruzione nazista (in contribuzione col meccanismo del dislocamento delle responsabilità).
  6. Non considerazione o distorsione delle conseguenze: evitando di pensare alle conseguenze negative delle proprie azioni, gli individui perseguiscono più facilmente l'obiettivo personale posto. Questa distorsione aiuta a formare una distanza tra il soggetto danneggiante e la vittima danneggiata, attenuando il controllo morale.
  7. Deumanizzazione della vittima: questo meccanismo agisce sulla capacità empatica di un individuo. Quando una persona viene "degradata" dal suo stato di essere umano viene meno la corrispondenza empatica di un secondo soggetto.
  8. Attribuzione di colpa: un espediente utile per trovare una giustificazione alla propria azione è quella di prendersela con avversari o con le circostanze che a detta dell'individuo sarebbero stati provocatori e avrebbero innescato per primi la catena di violenza. 

sabato 26 gennaio 2013

Hannah Arendt e la "banalità del male"

Precorritrice della psicologia del male, Hannah Arendt analizza nelle sue opere il totalitarismo tedesco, assumendo un ruolo critico-costruttivo in cui si prefigge lo scopo di spiegare perchè il nazismo abbia potuto prender terreno così rapidamente e visceralmente e prevenire quindi una nuova venuta di governo totalitarista riconoscendo per tempo i sintomi.
La tesi di Arendt è che l'essenza dell'ideologia totalitaria sia identificabile nel tentativo di compiere un attentato “ontologico” all'umanità dell'uomo, cioè nell'aspirazione a plasmare gli uomini secondo un determinato ideale di umanità. Tale pretesa di ricreare gli uomini può attualizzarsi nei campi di concentramento, il luogo in cui gli esseri umani vengono ridotti a meri esemplari di una specie, deprivati di ogni identità personale, ovvero di ogni facoltà di decidere:

[…] Come le vittime delle fabbriche della morte o degli antri dell'oblio non sono più umane agli occhi dei loro carnefici, così questa nuova specie di criminali sono al di là persino della solidarietà derivante dalla consapevolezza della peccabilità umana. […] I governi totalitari sono convinti della propria superfluità non meno di quella altrui; e i carnefici sono così pericolosi perché gli è indifferente vivere o morire, esser nati o non aver mai visto la luce. […] E' come se le tendenze politiche, sociali ed economiche dell'epoca congiurassero segretamente con gli strumenti escogitati per maneggiare gli uomini come cose superflue.”
(H. Arendt, Le origini del totalitarismo.)

Hannah Arendt riferendosi al totalitarismo tedesco, identifica ancor prima degli studiosi della psicologia sociale, due variabili importanti e fondamentali per attuare un'azione collettiva con scopi avversi all'umanità: la deindividuazione e la deumanizzazione. Nei campi di concentramento, gli uomini vengono privati del loro potere decisionale, vengono distrutti e ridotti alle reazioni più elementari, si trasformano in “esemplari umani del cane di Pavlov”. La deindividuazione e la deumanizzazione portano gli aguzzini a considerare le vittime come oggetti rimpiazzabili, diventano superflui e il senso di colpa viene disperso. Lo stesso meccanismo di deindividuazione si attua anche verso i carnefici poiché l'hitlerismo non si accontenta di eliminare una singola categoria umana, mira invece a trasformare tutto il genere seguendo i propri standard.
La Arendt affronta anche il tema della colpa e della responsabilità del popolo tedesco di fronte all'olocausto: il governo nazista promosse una propaganda mirante a coinvolgere l'intera popolazione nei progetti del reich con lo scopo di renderla complice dei propri crimini. I n questo modo, una volta sconfitto il nazismo, sarebbe diventato impossibile l'imputazione personale degli atti criminosi ovvero l'individuazione dei responsabili e dei colpevoli: quando sono tutti colpevoli nessuno è colpevole.

“[...] non ci siamo quasi accorti che il devoto pater familias, interessato solo alla sua sicurezza, si era trasformato sotto la pressione delle caotiche condizioni economiche del nostro tempo in un avventuriero involontario […] Divenne subito chiaro che per la sua pensione, per la sua polizza sulla vita, per la sicurezza di sua moglie e dei suoi figli, un uomo simile era pronto a sacrificare le sue convinzioni, il suo onore e la sua dignità umana. C'era bisogno solo del genio luciferino di Himmler per capire che, dopo una simile degradazione, un uomo del genere era assolutamente pronto a fare letteralmente qualsiasi cosa di fronte a un pericolo e a una minaccia dell'esistenza stessa della sua famiglia. La sola condizione che poneva era di essere esentato dalla responsabilità per i propri atti.”
(H. Arendt, Colpa organizzata e responsabilità universale.)

Dunque ci troviamo di fronte ad altre due variabili sociali determinanti per la psicologia del male: l'obbedienza all'autorità e la diffusione di responsabilità. Il senso di colpa viene attenuato, se non quasi annullato, da un meccanismo mentale di deresponsabilizzazione delle proprie azioni. Non solo il comando viene dato da un'organizzazione superiore e incontrobattibile ma tutti hanno un ruolo marginale, ma funzionale in un grande processo distruttivo, per cui la responsabilità viene smorzata. Hannah Arendt chiama quest'esperienza la “banalità del male” constatando come si possa diventare complici del male senza essere demoni, ma anzi persone apparentemente del tutto normali.
I pensieri della Arendt sono importanti precursori della psicologia del male poiché sono l'analisi di un terribile evento passato che l'uomo contemporaneo ritiene possa essere irripetibile.
Purtroppo questa è una falsa credenza poiché sia importanti studi sociali attuati e sia le odierne e continue tragedie individuali e collettive, ci mostrano come qualsiasi uomo in concomitanza di certe situazioni e variabili possa agire e comportarsi in maniera tanto negativa quanto inimmaginabile a sé.