sabato 26 gennaio 2013

Hannah Arendt e la "banalità del male"

Precorritrice della psicologia del male, Hannah Arendt analizza nelle sue opere il totalitarismo tedesco, assumendo un ruolo critico-costruttivo in cui si prefigge lo scopo di spiegare perchè il nazismo abbia potuto prender terreno così rapidamente e visceralmente e prevenire quindi una nuova venuta di governo totalitarista riconoscendo per tempo i sintomi.
La tesi di Arendt è che l'essenza dell'ideologia totalitaria sia identificabile nel tentativo di compiere un attentato “ontologico” all'umanità dell'uomo, cioè nell'aspirazione a plasmare gli uomini secondo un determinato ideale di umanità. Tale pretesa di ricreare gli uomini può attualizzarsi nei campi di concentramento, il luogo in cui gli esseri umani vengono ridotti a meri esemplari di una specie, deprivati di ogni identità personale, ovvero di ogni facoltà di decidere:

[…] Come le vittime delle fabbriche della morte o degli antri dell'oblio non sono più umane agli occhi dei loro carnefici, così questa nuova specie di criminali sono al di là persino della solidarietà derivante dalla consapevolezza della peccabilità umana. […] I governi totalitari sono convinti della propria superfluità non meno di quella altrui; e i carnefici sono così pericolosi perché gli è indifferente vivere o morire, esser nati o non aver mai visto la luce. […] E' come se le tendenze politiche, sociali ed economiche dell'epoca congiurassero segretamente con gli strumenti escogitati per maneggiare gli uomini come cose superflue.”
(H. Arendt, Le origini del totalitarismo.)

Hannah Arendt riferendosi al totalitarismo tedesco, identifica ancor prima degli studiosi della psicologia sociale, due variabili importanti e fondamentali per attuare un'azione collettiva con scopi avversi all'umanità: la deindividuazione e la deumanizzazione. Nei campi di concentramento, gli uomini vengono privati del loro potere decisionale, vengono distrutti e ridotti alle reazioni più elementari, si trasformano in “esemplari umani del cane di Pavlov”. La deindividuazione e la deumanizzazione portano gli aguzzini a considerare le vittime come oggetti rimpiazzabili, diventano superflui e il senso di colpa viene disperso. Lo stesso meccanismo di deindividuazione si attua anche verso i carnefici poiché l'hitlerismo non si accontenta di eliminare una singola categoria umana, mira invece a trasformare tutto il genere seguendo i propri standard.
La Arendt affronta anche il tema della colpa e della responsabilità del popolo tedesco di fronte all'olocausto: il governo nazista promosse una propaganda mirante a coinvolgere l'intera popolazione nei progetti del reich con lo scopo di renderla complice dei propri crimini. I n questo modo, una volta sconfitto il nazismo, sarebbe diventato impossibile l'imputazione personale degli atti criminosi ovvero l'individuazione dei responsabili e dei colpevoli: quando sono tutti colpevoli nessuno è colpevole.

“[...] non ci siamo quasi accorti che il devoto pater familias, interessato solo alla sua sicurezza, si era trasformato sotto la pressione delle caotiche condizioni economiche del nostro tempo in un avventuriero involontario […] Divenne subito chiaro che per la sua pensione, per la sua polizza sulla vita, per la sicurezza di sua moglie e dei suoi figli, un uomo simile era pronto a sacrificare le sue convinzioni, il suo onore e la sua dignità umana. C'era bisogno solo del genio luciferino di Himmler per capire che, dopo una simile degradazione, un uomo del genere era assolutamente pronto a fare letteralmente qualsiasi cosa di fronte a un pericolo e a una minaccia dell'esistenza stessa della sua famiglia. La sola condizione che poneva era di essere esentato dalla responsabilità per i propri atti.”
(H. Arendt, Colpa organizzata e responsabilità universale.)

Dunque ci troviamo di fronte ad altre due variabili sociali determinanti per la psicologia del male: l'obbedienza all'autorità e la diffusione di responsabilità. Il senso di colpa viene attenuato, se non quasi annullato, da un meccanismo mentale di deresponsabilizzazione delle proprie azioni. Non solo il comando viene dato da un'organizzazione superiore e incontrobattibile ma tutti hanno un ruolo marginale, ma funzionale in un grande processo distruttivo, per cui la responsabilità viene smorzata. Hannah Arendt chiama quest'esperienza la “banalità del male” constatando come si possa diventare complici del male senza essere demoni, ma anzi persone apparentemente del tutto normali.
I pensieri della Arendt sono importanti precursori della psicologia del male poiché sono l'analisi di un terribile evento passato che l'uomo contemporaneo ritiene possa essere irripetibile.
Purtroppo questa è una falsa credenza poiché sia importanti studi sociali attuati e sia le odierne e continue tragedie individuali e collettive, ci mostrano come qualsiasi uomo in concomitanza di certe situazioni e variabili possa agire e comportarsi in maniera tanto negativa quanto inimmaginabile a sé.