venerdì 15 febbraio 2013

"Esperimento carcerario di Stanford"

Nel 1971 Philip Zimbardo condusse il rinomato "Esperimento carcerario di Stanford", partendo col presupposto di osservare la capacità delle istituzioni di influenzare il comportamento individuale.
Tra oltre 75 studenti volontari lo staff di psicologi ne identificò 24, avendoli sottoposti a test di personalità e interviste, i migliori in termini psichici, con maggior stabilità e sanità mentale e i meno attratti a comportamenti devianti.
L'esperimento consisteva in una simulazione di vita carceraria: i sotterranei dell'università di Stanford vennero adibiti a un istituto di detenzione e alcune stanze vennero modificate fino a farle sembrare delle celle nelle quali i prigionieri dovevano soggiornare per 14 giorni e sottostare agli ordini delle guardie che avevano il compito di garantire l'ordine nella prigione. I ruoli vennero assegnati casualmente  cosicché non ci sarebbe stata alcuna differenza di partenza tra chi avrebbe impersonato le guardie e chi i detenuti.
I partecipanti tornarono nei loro dormitori ignorando il fatto che i prigionieri sarebbero stati prelevati e scortati alla finta prigione da una vera volante della polizia e da veri poliziotti simulando a tutti gli effetti un arresto.
Zimbardo introdusse alcuni elementi essenziali per questo tipo di sperimentazione, infatti ad ogni ruolo vennero associati dei simboli distintivi: i prigionieri vestivano una casacca numerata, così da preparare il terreno per un processo di deumanizzazione, e fu loro posta una catena alla caviglia; alle guardie invece vennero consegnati dei simboli di potere quali uniformi anonimizzanti , occhiali riflettenti (in modo da non poter essere guardati negli occhi), manganelli, fischietti e manette.
Ai carcerieri fu data molta discrezionalità circa i metodi da adottare per mantenere l'ordine.
L'esperimento prese dunque il via.
Dopo solo due giorni si verificarono i primi episodi di violenza: i detenuti si strapparono le divise di dosso e si barricarono all'interno delle celle inveendo contro le guardie che reagirono iniziando opere di intimidazione e umiliazione, cercando di spezzare il legame tra i prigionieri. Questi vennero costretti a pulire le latrine a mani nude, a defecare in secchi che non avevano il permesso di svuotare, a simulare atti di sodomia, a cantare canzoni oscene e spesso venivano denudati.
I detenuti tentarono di evadere e tale fuga venne sventata con difficoltà dalle guardie e dal direttore del carcere (Zimbardo).
Dopo 36 ore delle crisi di nervi colpirono i prigionieri e uno di essi sentì la necessità di lasciare la sperimentazione.
Dopo 5 giorni i detenuti mostrarono sintomi evidenti di disgregazione individuale e collettiva: erano docili e passivi e il rapporto con la realtà si stava deteriorando, mostravano seri disturbi emotivi. Le guardie continuarono a praticare comportamenti vessatori e sadici dimostrando un distaccamento dalla realtà anche nel loro ruolo.
Sia le guardie che i prigionieri si erano identificati in maniera forte e impressionante al proprio ruolo tanto che pur soffrendo, questi ultimi non presero in considerazione l'idea di lasciare l'esperimento ma continuarono a risiedere nella prigione intraprendendo soventi tentativi di evasione.
Al sesto giorno Zimbardo, dati i risvolti drammatici, decise di interrompere l'esperimento con grande sollievo dei prigionieri ma rammarico da parte delle guardie.

Zimbardo trasse conclusione dal suo studio che l'assumere un ruolo istituzionale induce all'adeguamento delle norme e delle regole dell'istituzione stessa, suscitando a sua volta il processo di deindividuazione: la perdita di responsabilità individuale indebolisce i controlli basati sul senso di colpa, la vergogna e la paura così come quelli che inibiscono l'espressione di comportamenti distruttivi e antisociali.
L'individuo non è più individuo ma fa parte di un gruppo e ragiona e attua comportamenti coerenti a quello del gruppo di appartenenza.

Lo "Stanford prison experiment" è stato uno tra gli studi sociali più importanti nella psicologia e non più replicabile poiché considerato non etico. La consapevolezza che un simile sadismo possa essere suscitato in persone sane ed equilibrate in un ambiente controllato, dovrebbe farci riflettere sulla possibilità insita in noi di   diventare un giorno, in una situazione verosimile e reale, degli aguzzini.


Per chi fosse volesse approfondire l'argomento, fosse interessato alle pieghe psicologiche di un fenomeno simile o per chi avesse voglia di vedere un buon film ecco il trailer della trasposizione cinematografica ( la versione di Hirschbiegel) dell'esperimento: